Le carbonaie di montagna

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Attraversando i sentieri nei boschi durante le nostre escursioni in montagna capita a volte di imbattersi in alcune aree che non sembrano avere molto di naturale: piazzole leggermente sollevate e delimitate da piccoli muretti a secco in pietra. Se ci soffermiamo in queste piazzole a volte riusciamo a ritrovare ancora dei piccoli pezzi di legna carbonizzati.

Ma di cosa si tratta esattamente? Che cosa avveniva in queste piazzole nel bosco, spesso collegate tra loro lungo uno stesso sentiero?

Guardando questi ambienti con gli occhi di oggi ci risulta molto difficoltoso comprenderlo, ma fino ai primi anni del '900 i boschi di montagna fungevano da vere e proprie "fabbriche " per il carbone, e le piazzole come quella in cui ci imbattiamo oggi sono un esempio di antica carbonaia

Ma come funzionava una carbonaia?

La prima fase consisteva nella preparazione della legna. I carbonai tagliavano gli alberi in una parte di bosco loro assegnato, rispettando alcune disposizioni di legge che prevedevano un diradamento delle piante e non un esbosco.

Dopo la diramatura del legname, questo veniva portato ad una lunghezza di circa un metro e, dopo 10-15 giorni di essiccazione, trasportato nella nostra piazzola. Le piazzole del carbone dovevano trovarsi in luoghi protetti da correnti d'aria ed essere costituite da un terreno sabbioso e permeabile.

A questo punto avveniva la costruzione della carbonaia, che sfruttava la pirolisi, ovvero il processo di carbonizzazione del legno in totale assenza di ossigeno.

Per favorire la carbonizzazione il legname più grosso veniva spezzato. Nel terreno venivano piantati tre pali di legno, alti circa 2-3 metri e tenuti insieme da due cerchi formati con dei rametti. Intorno ai pali veniva poi sistemata prima la legna più grossa e poi quella più sottile, in modo da lasciare il foro centrale libero per le braci. La legna doveva essere sistemata accuratamente e con maestria, per evitare di lasciare spazi d'aria e quindi penetrazione di ossigeno. Una sistemazione che richiedeva almeno 2 giorni di lavoro e un bagaglio esperienziale di secoli e tramandato di generazione in generazione. Una volta sistemata tutta la legna da cuocere, la carbonaia assumeva la tipica forma a capanna. Il lavoro dei carbonai proseguiva con la copertura, spesso con rami di abete, e la ripulitura più volte al giorno della piazzola. Spesso alla copertura di foglie veniva aggiunto uno strato di terriccio, allo scopo di isolare ancora meglio la legna dall'aria.

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A questo punto iniziava la fase della cottura del carbone, che durava dai 10 ai 15 giorni. Il fuoco veniva continuamente alimentato, giorno e notte, con nuova legna che doveva essere ben pressata con un palo. Il quantitativo di legna che serviva era ingente: per alimentare una carbonaia di 100 quintali occorrevano circa 8 quintali di legna.

A cottura ultimata iniziava finalmente la fase dello stoccaggio del carbone, che richiedeva altri 2 giorni di lavoro. Per prima cosa il carbone, ben cotto, doveva essere raffreddato con numerose palate di terra. Poi si procedeva all'estrazione spegnendo con l'acqua eventuali braci rimaste accese.

La qualità del carbone ottenuto variava a seconda sia della bravura e dell'esperienza del carbonaio, che dal legname usato. In gergo si diceva che un buon carbone doveva "cantare bene " , cioè doveva fare un suono ben distinto quando veniva spalato.

Infine il carbone, una volta ben raffreddato, veniva insaccato e trasportato a valle per essere venduto, sia per uso domestico che industriale.

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Le carbonaie sono dunque uno dei tanti esempi di come i boschi venivano vissuti dalla gente di montagna. La prossima volta che percorriamo un sentiero e saremo in grado di riconoscere una piazzola di una carbonaia proviamo a cercare dei residui di carbone, e chiudendo gli occhi, proviamo a immaginare il lavoro, i rumori, gli odori, la fatica, il sudore e i dialoghi di queste antiche genti che si spargevano nel bosco, e lo riempivano di vita.

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