Da Livata al santuario della SS Trinità

Con una temperatura ottimale e un cielo un po' velato intraprendiamo questa uscita di circa 24 km che, sia dal punto di vista dello sforzo fisico che per alcuni tratti, particolarmente esposti e degni della massima attenzione tecnica, e di orientamento, risulta abbastanza impegnativo. 

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Abbandoniamo subito l'anello di Livata, le voci delle persone e dei banchi del mercatino, per imboccare quella che all'inizio è una strada bianca, percorsa all'occorrenza anche dalle auto. Accompagnati dalla sempre presente faggeta e dagli abeti arriviamo alla prima biforcazione che ci porta ad un abbeveratoio estivo per il bestiame (abbiamo già parlato durante l'uscita per Monte Autore dell'importanza che la presenza di acqua su queste montagne ha rivestito, e riveste tutt'ora, per l'allevamento e la transumanza). Immediatamente il sentiero si fa stretto, una vera e propria mulattiera che si arrampica per circa un chilometro in maniera ripida. È questo il primo strappo importante a cui le nostre gambe si sottopongono, e che ci conduce al cospetto di un importante e meraviglioso faggio e ad un quadrivio, quello del Passo delle Pecore. Ci troviamo qui ad una quota di 1.500 metri slm e in un punto cruciale da dove si diramano i sentieri nelle quattro direzioni: verso Nord in direzione dapprima di Monte Calvo (da cui si gode di una visione privilegiata sui Monti Lucretili, sui Prenestini e sui Colli Albani) e quindi Cervara di Roma, verso Est in direzione Campaegli, verso Sud in direzione Campo dell'Osso, e naturalmente da dove veniamo noi, da Ovest, e quindi da Livata. Noi proseguiamo per quest'ultima direzione, iniziando quel sentiero CAI 651 che converge con il Cammino Naturale dei Parchi (CNP), fino al Monte Viglio. 

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Una salita lunga e abbastanza ripida è allietata dalla faggeta, che si apre ai lati del sentiero nel bosco, ora dal dislivello decisamente più dolce, e giungiamo, in un continuo saliscendi, al piazzale di Campo dell'Osso. Da qui il 651 prosegue inizialmente parallelo alla strada asfaltata, ma poi devia nuovamente nel bosco, dove la salita ricomincia. 

Dopo un terzo strappo intenso in salita l'acido lattico inizia a sentirsi, ne approfittiamo alla prima spianata utile per bere e reintegrare un po' di sali minerali. Ma la salita non sembra dare tregua, e solo quando la faggeta si apre ad una cresta vertiginosa ci dimentichiamo della stanchezza e dei chilometri, perché la contemplazione è unica: proprio di fronte a noi una vallata a strapiombo, e dall'altra parte della valle la prosecuzione dei Simbruini, con la sinuosità della cima del Tarino che contrasta l'austerità del Viglio e del suo Gendarme, decisamente più appuntiti.

Proseguiamo su questa cresta, alla nostra sinistra il bosco, a destra il vuoto. Scorgiamo in lontananza il paese di Vallepietra, incastonato ai piedi di quei giganti rocciosi (e un flash mentale ci attanaglia sull'etimologia del suo nome, che non sembra assolutamente dato a caso!). Più in alto, ancora lontano, il santuario della Santissima Trinità (o semplicemente Santissima, come viene chiamato in queste valli)...la strada è ancora lunga...

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Il sentiero CAI 651 è forse uno dei più suggestivi di tutto il parco dei Monti Simbruini, e il suo percorso non si esaurisce lì, in quanto permette di raggiungere, superata la cresta del Tarino, anche il Monte Viglio, la maggiore cima del territorio con i suoi 2.156 metri.

A noi questo sentiero ci ha portati fino a qui, alle Vedute di Monte Autore, uno dei luoghi più panoramici del parco, da dove scorgere, oltre alla prosecuzione dei Simbruini e dei Cantari, la catena dell' antiappennino più a Sud, data dai monti Lepini con il Semprevisa a fare da guardiano nella lontananza.

Altri 20 minuti circa di continua ascesa e raggiungiamo la vetta del monte Autore, a quota 1.855 m s.l.m. Non si tratta di una delle maggiori vette del territorio, ciononostante si capisce immediatamente la sua importanza, in quanto dalla croce si domina a 360 gradi una vasta porzione della regione Lazio e oltre: dritti, in direzione Nord, Nord-Est, il confine con l'Abruzzo, in lontananza spunta perfino il Corno Grande, i monti Prenestini, decisamente più vicini; a Nord-Ovest, con il Guadagnolo e poi in direzione Ovest fino al Maschio delle Faete e Colle Iano a completare i profili montuosi prima dell'orizzonte e del mare; a Sud i Lepini; a Est la grande "muraglia " data dai Simbruini e dal Viglio, fino al Monte Crepacuore.

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Pochi minuti per riprendere fiato e contemplare tanta bellezza e si riparte, stavolta in discesa, direzione Passo Procoio, ma per giungervi dobbiamo abbandonare il sentiero 651, per imboccare il raccordo 683a (per la differenza tra sentiero e raccordo consultate il nostro articolo https://www.trekway.it/leggere-i-sentieri), direzione Nord-Est, e qui la questione si fa decisamente interessante: 30 minuti abbondanti di discesa esposta da un lato a strapiombo con rocce, ciottoli e gradoni naturali...è il caso di restare più che concentrati! 

Si scende e si perde rapidamente quota, almeno 500 metri, al punto che ben presto la faggeta lascia il posto ad alberi come il carpino nero.

La discesa è forse una fase ancora più impegnativa della salita, se non altro dal punto di vista della concentrazione che occorre tenere per non rischiare di perdere l'equilibrio. Se a questo si aggiunge che la salita ricomincia immediatamente dopo la fine di una discesa interminabile...significa che il Santuario della Santissima Trinità è vicino, e che l'acido lattico sarà un compagno per il pranzo.

Eccolo il piccolo santuario, apparire minuscolo quasi come una gemma incastonata dentro un gigantesco sperone di roccia calcarea, che corrisponde a Colle della Tagliata, e che sembra tenersi in un equilibrio così precario da dare un senso di sospensione del tempo e dello spazio.

Ci troviamo a 1.337 m s.l.m, lungo il versante Sud-Ovest della catena dei Simbruini e al di sotto della valle del fiume Simbrivio. Il Santuario è meta di pellegrinaggio da moltissimi territori limitrofi. Ce ne accorgiamo dalle innumerevoli targhe che li ricordano mentre percorriamo gli ultimi metri in salita, protetti ora da una staccionata.

Sulle sue origini vi sono diverse ipotesi e il problema è di difficile soluzione. Ancora oggi vi sono molti punti oscuri, malgrado numerose ricerche effettuate da storici e studiosi, che più comunemente fanno risalire a monaci orientali o eremiti la possibilità dell'origine di questo luogo di culto. L'atteggiamento benedicante alla maniera greca delle "tre persone " venerate nel santuario sembra avvalorare questa ipotesi.

Un luogo che sicuramente sprigiona una energia mistica e spirituale unica. Noi decidiamo che è giunta l'ora di reintegrare un po di carboidrati e, giunti a quota 1.400 m ne approfittiamo per tirare fuori gli ambiti panini.

Qui la biforcazione offre due possibilità: proseguire in direzione Sud-Est verso la cresta del Tarino, oppure tornare a Nord-ovest per chiudere l'anello di Passo Procoio. Decidiamo per la seconda, essendo il percorso già molto lungo per una giornaliera e, dopo circa un chilometro di strada asfaltata, entriamo nuovamente nel bosco di faggi, seguendo il sentiero 685.

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Torniamo a riprendere quota, tra sentieri utilizzati anche come ippovie, faggi e antichi resti di carbonaie. Di tanto in tanto il bosco si dirada, il sole spunta dalle nuvole e il caldo si fa sentire, ma questo percorso ci regala una emozione inaspettata: proprio parallelamente allo sterrato, seguendo la soglia del bosco, un cervo sfreccia veloce alla nostra sinistra. Lo vediamo correre con tutta la sua eleganza, oltrepassare ostacoli che farebbero apparire noi goffi e lenti, e infine scomparire con leggerezza dentro la fitta faggeta. 

Superato Passo Procoio ritroviamo il sentiero 651 che ci riporta, non con poca fatica, nuovamente verso la vetta dell'Autore, che però questa volta decidiamo di aggirare dal basso (non siamo così masochisti!).

Giunti nuovamente alle Vedute ci dirigiamo in direzione di Monna dell'Orso, da dove prosegue il sentiero verso Campo dell'Osso. Da qui ci attendono gli ultimi chilometri per ridiscendere verso Livata, in un seppur interessante tratto che costeggia un canalone e che ci regala una magnifica testimonianza geologica di stratificazione calcarea.

Giungiamo, attraverso la strada bianca, al più familiare anello di Livata. Torniamo alla fiera, al brusio e al passeggio delle persone, alle chiacchiere dei commercianti, ma portandoci dentro il silenzio contemplativo di queste montagne...e con la voglia di una birra fresca!

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