Si può prevedere un terremoto?

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Per la sua morfologia e peculiarità geologica il territorio italiano è coinvolto quasi nella sua interezza dal fenomeno sismico. Come si evince facilmente dalla fig 6.1 le aree maggiormente coinvolte sono quelle della dorsale appenninica e le aree in cui si manifesta, o si è manifestata in tempi geologici recenti, un'attività vulcanica. I Colli Albani non fanno eccezione a questa regola, e negli archivi storici numerosi sono i dati che ci testimoniano di epicentri sismici nella zona dei Castelli Romani. Il 2 febbraio 1438 un sisma con epicentro a Grottaferrata raggiunse una magnitudo di 5.4 della scala Richter (per approfondimenti si veda la fig 6.2), a cui seguirono altre decine. In epoca moderna, a partire dal XVIII secolo, abbiamo un'ampia documentazione di terremoti con epicentri nel nostro territorio.

Ma da cosa ha origine un terremoto e, soprattutto, esiste un modo per poter “prevedere” questo fenomeno naturale che, fin dai tempi più antichi ha evocato nell'uomo immagini di rovina, di sofferenza e di sciagura?

 

Iniziamo dal termine stesso: terremoto è una parola composta e deriva dal latino terrae e motus, ovvero movimento della terra. Di per sé quindi il terremoto è un fenomeno del tutto normale nell'ottica della terra, e naturale conseguenza della struttura stessa del nostro pianeta, composta da placche tettoniche (fig 6.3) che, come zattere alla deriva, sono in continuo movimento, separandosi, scontrandosi, dando origine a catene montuose, scivolando le une sotto alle altre e generando processi di subduzione, dai quali si fondono magmi che risalgono poi in superficie. Il “collante” di questi movimenti sono le rocce. Quando queste vengono sottoposte ad uno sforzo, iniziano a comportarsi in maniera elastica, deformandosi progressivamente ( possono ad esempio comprimersi oppure ridursi di volume). Questa deformazione elastica della roccia non avviene però all'infinito: ogni tipo di roccia ha infatti un suo carico di rottura, ossia il limite (che dipende anche dalla pressione o dalla temperatura a cui sono sottoposte) oltre il quale, esattamente come un elastico che viene tirato, non può più deformarsi, ma necessariamente si rompe. In quel momento, all'interno della massa rocciosa si crea una lacerazione nel punto più debole, e si genera una faglia. A quel punto, come un elastico allungato che poi si spezza, le due parti della massa rocciosa separate riacquistano il loro volume e la loro posizione di equilibrio, ma nel farlo generano una serie di vibrazioni che vengono trasmesse alle masse rocciose circostanti sotto forma di onde sismiche, che, proprio come increspature nell'acqua si diffondono e possono durare da pochi secondi a qualche minuto, determinando quindi la forza e la violenza devastatrice del terremoto.

 

L'uomo ha imparato a misurare i terremoti in base ai danni che provoca alle opere umane. La scala che noi utilizziamo è quella ideata da Mercalli e Cancani (per approfondire si veda la fig 6.4), che ci da un'idea non in termini assoluti, come la scala Richter, della potenza del sisma, ma relativamente alla percezione umana e ai danni che provoca.

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Il processo che da luogo alla faglia, e quindi alla rottura della roccia per come lo abbiamo finora descritto, fu studiato in maniera molto approfondita dopo il devastante terremoto di San Francisco (U.S.A) del 1906, e prende il nome di rimbalzo elastico.

 

Tornando alla domanda di apertura dell'articolo: è quindi possibile fare delle previsioni sui fenomeni sismici, sapere cioè il quando e il come un terremoto ci colpirà?

Il modello del rimbalzo elastico su cui si fondano le nostre conoscenze sull'origine dei terremoti prevede una ciclicità del fenomeno. Infatti, prima di un terremoto, abbiamo un certo accumulo di energia nelle rocce, che culmina nella loro rottura, la quale a sua volta libera l'energia accumulata sotto forma di onde sismiche che generano il terremoto, si giunge ad un nuovo equilibrio e il processo ricomincia. Tale regolarità è chiamata dai sismologi ciclo sismico, ed è a partire da questa regolarità che possiamo porre le basi per studiare i segnali premonitori che anticipano l'evento sismico vero e proprio, e avere una possibilità di previsione che chiamiamo deterministica.

In questo ciclo possiamo distinguere quattro stadi. Nello stadio intersismico inizia l'accumulo di energia. Nello stadio presismico la deformazione della roccia si accentua fino a giungere al limite del suo carico di rottura: è in questa fase che si manifestano delle variazioni nelle caratteristiche fisiche del materiale litogeno ed alcune di queste, come un aumento di emissioni di gas radon (un gas radioattivo naturale inodore e incolore) nelle rocce vulcaniche (fig 6.5) sono tali da essere considerate fenomeni precursori del terremoto. Successivamente, nello stadio cosismico l'energia potenziale accumulata come deformazione elastica si libera sotto forma di calore e movimento, generando il terremoto. Prima della rottura vera e propria e della generazione della faglia, la roccia tende a dilatarsi per la formazione di numerose microfratture, che possono essere studiate e precedono la rottura principale. Quando la roccia si trova vicino al punto di rottura, la crisi sismica può essere causata da qualunque fenomeno contingente. Nell'ultima fase, lo stadio postsismico, la zona interessata passa ad un nuovo equilibrio, anche attraverso il passaggio di scosse successive (repliche) a quella principale, e il ritorno alle condizioni fisiche di partenza delle rocce.

Oltre alla previsione deterministica qui descritta, non sempre facile per le condizioni particolari delle rocce e la loro diversa composizione chimica e mineralogica, ci si può avvalere della cosiddetta previsione statistica, nella quale invece torna utile lo studio delle isosisme dei terremoti passati. Come possiamo notare nella fig 6.6, nella carta del terremoto di Frascati del 1911, le linee che uniscono i punti con la stessa magnitudo (isosisme), non formano cerchi concentrici regolari, ma curve allungate e irregolari. Questo perché le onde sismiche non si propagano nello stesso modo e alla stessa velocità in tutti i materiali, e l'irregolarità delle isosisme ci da appunto preziose informazioni sulla conformazione del nostro sottosuolo.

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Per concludere, la tecnologia e le conoscenze a nostra disposizione ci permettono oggi di avere un quadro dettagliato e ottimi strumenti a disposizione per ricercare dei segnali premonitori di un terremoto, ma questi strumenti da soli non bastano come arma di difesa contro futuri disastri, se non vengono a loro volta coadiuvati da un efficiente sistema di messa in sicurezza dei nostri centri abitati e, soprattutto, di scrupolosi piani di evacuazione di massa. Cosi come per altri fenomeni naturali estremi, anche per i terremoti la strada maestra per le comunità umane resta sempre quella della prevenzione.

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